Le Culture del Parto e della Nascita

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Parto/nascita evento biosociale


Secondo il modello medico della salute, il corpo umano è una macchina imperfetta e piena di difetti, quindi è in pericolo costante. Costante è il rischio di patologia e di malattia per il corpo.
La salute si ottiene con aiuti dall’esterno da parte della scienza e della medicina che usano i trattamenti adeguati, chirurgia e farmacologia per riparare la macchina corpo
Secondo il modello sociale della salute, il corpo è sano e normale e ricco di energie vitali. La persona non è una macchina corpo, ma un complesso sistema composto da corpo, mente e spirito, ciascuno dei quali partecipa, integrandosi con gli altri, al benessere e alla salute o alla patologia e alla malattia. La scienza e la medicina dovrebbero intervenire nella malattia con il minimo indispensabile, nel rispetto della completa integrità della persona. L’ambiente, fattori psicologici, affettivi, relazionali, realtà sociali, culturali e politiche, vengono considerati elementi significativi e fondamentali sia nel mantenere la salute che nel curare o provocare la malattia, quanto quelli più strettamente biologici.
La scienza e la medicina dovrebbero comprendere la malattia e intervenire su di essa con il minimo indispensabile, nel rispetto della completa integrità della persona.
L’antropologia, ci illustra un modello bio-sociale della salute, ed evidenzia che in tutte le popolazioni, la riproduzione, la nascita, la morte sono parte integrante dei sistemi di credenze delle proprie culture.
Gli antropologi ci dicono che in nessuna popolazione al mondo, sia essa primitiva o ad elevato tenore di vita, il parto a la nascita si svolgono come eventi del tutto naturali. Gli eventi biologici sono ovunque riplasmati e condizionati da valori sociali e fattori culturali. Si può parlare quindi piuttosto di eventi prevalentemente fisiologici o patologici.
In ogni società i comportamenti, le pratiche, le regole, le esperienze, la filosofia e l'etica relative alla gravidanza, alla nascita, al parto e al dopo-parto sono profondamente diverse e ognuna ha i propri riti, usanze, miti, tabù, figure e strumenti.
Notevoli diversità si ritrovano anche fra popolazioni con lo stesso sviluppo a tenore di vita, come fra società industrializzate con uguale livello tecnologico e medicobiologico, ma ugualmente fra società più tradizionali e primitive.
La fisiologia del parto con i suoi meccanismi umorali, neuroormonali, meccanici è pressochè uguale in tutte le donne in ogni parte della terra. Ma all'universalità biologica non corrisponde una uniformità nel metodo e nella pratica di partorire, poichè ogni cultura genera un proprio sistema di nascita nell'ambito della struttura sociale di cui è espressione. E' noto che sia la tradizione che l'ambiente e i personaggi, con le loro relazioni e con i loro rituali, hanno un'influenza sulla fisiologia del travaglio tale da poterne determinare i tempi e l’andamento e talvolta la patologia, attraverso un condizionamento esercitato sia sulla mente che sul corpo della donna.
In ogni comunità e ogni società semplice o complessa si esercita sempre un controllo sul parto e la nascita e sulla donna. Il controllo puo essere in mano all'ostetrica o alle donne anziane o alle donne che hanno partorito, oppure può essere affidato alle istituzioni con i loro specialisti. Tale controllo effettuato attraverso consuetudini e regole ha un significato sia di etica sociale che di protezione della donna e/o del bambino.
In qualsiasi comunità il parto è associato al pericolo che può essere inteso come complicazioni ostetriche con rischio per la salute e la vita della donna e del feto, oppure come pericolo proveniente da forze soprannaturali, e di conseguenza i comportamenti sono finalizzati ad esorcizzare tali pericoli.
Nell'ambito di una popolazione, conseguentemente ai cambiamenti che si verificano all'interno della società, si modifica il modo di partorire delle donne. Modificandosi nel tempo il tenore di vita e i rapporti sociali e con essi il significato della nascita e l'atteggiamento verso la vita, si modificano, oltre all'immagine fantastica del parto, la sua modalità e il suo scenario.
D'altronde il parto e la maternità sono punti chiave per capire il ruolo e la condizione della donna rapportata alle relazioni sia parentali che sociali.
La donna che partorisce può essere un personaggio attivo o passivo e ciò a seconda del ruolo che le viene attribuito dalle figure che la circondano e che controllano il parto. La dinarnica degli eventi è legata tuttavia all'interazione tra le aspettative sociali, il ruolo dei singoli personaggi e le loro intenzioni e l'identità della donna con il riaffiorare del rapporto con il proprio corpo, del suo mondo affettivo, delle sue fantasie riguardo al parto e alla maternità e di paure che hanno radici profonde nell'inconscio. A ciò si aggiunge la conflittualità the può comparire fra la storia personale della donna e la sua cultura.


Passato e presente del parto e della nascita


Sappiamo che nella nostra società il parto si è progressivamente modificato negli ultimi quattro secoli. Apprendiamo dagli etnologi che ad una concezione naturalistica della vita e della morte e della malattia si è sempre più sostituita una nuova visione che valorizza il corpo e si preoccupa di tenere lontano la morte e non accetta la malattia. Conseguentemente a questa nuova coscienza si afferma gradualmente la figura del medico.
Dalla seconda metà del XVIII secolo compare sullo scenario del parto il chirurgo ostetrico, viene istituita l'istruzione delle mammane con la fondazione di apposite scuole e inizia il controllo dello stato sull'ostetricia. L'obiettivo è la sicurezza della donna e del bambino.
La medicalizzazione del parto si afferma attraverso una contrapposizione fra le mammane e i medici che vede trasformarsi e ridursi i compiti dell'ostetrica fino a toglierle autonomia e subordinarla al ruolo di assistente del medico.
Parallelamente a ciò viene a scomparire lentamente una cultura popolare intesa come controllo e partecipazione al parto esclusivamente femminile con tutte le sue tradizioni e basata sull'intesa e la solidarietà fra donne. A questa viene a contrapporsi e poi a sostituirsi la cultura medica che impone le regole della scienza e il concetto di razionalità, e introduce anche nuovi rituali a volte esorcizzanti il pericolo, a volte espressione del potere e che si muove al di sopra e indipendentemente dalle esigenze affettive, relazionali e fantastiche della donna.
Il passaggio dalla cultura popolare e femminile alla cultura della scienza è graduale e il parto viene a lungo mantenuto nell'ambito della famiglia e della collettività femminile.
In realtà, nella prima metà di questo secolo è la levatrice che di solito gestisce il parto, coadiuvata dalle donne della famiglia, dalle amiche, dalle vicine. Tuttavia, esercita pratiche introdotte e volute dai medici e ricorre al medico quando ritiene che vi siano difficoltà. La casa è il luogo dove si partorisce e che mantiene tale evento collegato alla quotidianità e rappresenta un ambiente familiare, protettivo e rassicurante in un momento di paura e di incognite.
Durante gli anni '50-'60 di questo secolo si determina una svolta drastica per il parto e la nascita con l'introduzione della Ospedalizzazione. Sono cambiati i rapporti sociali e parentali, scompaiono le grandi famiglie sostituite da piccoli nuclei familiari e viene a mancare quella solidarietà intesa come partecipazione attiva agli eventi importanti della famiglia. II piccolo nucleo si trova isolato e non più protetto dalla rete dei parenti e dei conoscenti.
È alle istituzioni che ci si rivolge, e quindi per il parto e la nascita ci si affida all'ospedale e i medici garantiscono sicurezza per la salute in cambio della solitudine durante un evento così straordinario, che viene ridefinito e limitato in un intervento medico specialistico e
spersonalizzato


Riflessione critica sul parto e la nascita di oggi


Negli anni 50, per quanto riguarda l’assistenza perinatale, l’OMS chiese di trovare modi per integrare gli elementi chiave degli approcci sanitari, sociale e medico e stimolò ad impegnarsi sulle questioni sociali ed economiche per poter risolvere i problemi che riguardano la salute
La medicalizzazione totale del parto fu messa in discussione negli anni Settanta.
In un momento di sempre crescente medicalizzazione fu doveroso analizzare criticamente il modo con cui venivano affrontati la gravidanza e il parto per valutare le richieste che venivano insistentemente espresse da parte di gruppi di donne. Pur ispirandosi innanzitutto al principio della sicurezza e della competenza tecnica, si ritenne necessario che i medici rivedessero il loro comportamento di fronte ad una gravidanza, un travaglio e un parto normali.
C'era l'esigenza che essi imparassero ad eliminare le esasperazioni tecnologiche e tentassero di ridare emotività all’evento nascita, cercando di modulare il loro agire sui bisogni della donna.
Il fulcro di un programma di lavoro sul parto e la nascita doveva essere la figura dell'ostetrica.
Si ritenne fondamentale rivalutare la figura dell'ostetrica e renderle la sua autonomia professionale, in un momento in cui essa era diventata nella quasi totalità dei paesi industrializzati un'appendice del medico. Nel tempo l'ostetrica aveva perso le sue capacità cliniche di attenta e indispensabile valutatrice del travaglio e del parto in un rapporto diretto con la donna, aveva acquistato le caratteristiche di tecnico adibito alle macchine e di assistente del medico ed aveva fatto propri gli stessi parametri di valutazione e di comportamento del medico anche nel travagli fisiologici.
Solo riaffidando alle ostetriche il travaglio di parto fisiologico si può recuperare un'ostetricia non medicalizzata e non interventista. L'ostetrica e in grado di conoscere e rispettare le esigenze della donna e di trasmetterle interpretandole al medico, facendo quindi da mediatrice fra la donna e la struttura ospedaliera. È inoltre in grado di aiutare la donna, "suggerendo" e assistendola invece di intervenire, ad attuare i suoi processi naturali rispettandone i tempi.
L'ostetrica sta a metà tra l'evento medico-biologico e l'evento sociale e culturale del parto, mentre il medico avverte ed affronta prevalentemente l'aspetto biologico.
II parto è un momento di forte regressione, di paura, di ansia, di angoscia dell'ignoto, di dolore e quindi è un evento che va assistito e guidato valorizzandone la componente umana e naturale, rassicurando ma stimolando soprattutto la fiducia della donna nelle sue capacità ed energie, e rendendola quindi protagonista dell'evento.
Quando la donna chiede aiuto, il medico riesce a rispondere con l'intervento, con la tecnologia, con la farmacologia. L'ostetrica e in grado di comprendere e di contenere la sua angoscia.
Abbandonati l'ignoranza, il fatalismo e l'irrazionalità dei secoli passati l'ostetrica deve oggi tuttavia aggiungere necessariamente alla conoscenza della cultura delle donne la conoscenza della cultura scientifica e  dell'ostetricia moderna.
I ruoli del medico e dell'ostetrica non vanno confusi. L'ostetrica si occupa dell'evento fisiologico e contiene Ie ansie della donna verso i processi naturali. Il medico assume su di se, togliendole alla donna ed all'ostetrica, Ie ansie verso la patologia.
Quindi, in questa impostazione, nel travaglio "non complicato" il medico è una figura che sta ai margini, ma rappresenta la sicurezza tecnica, osservando e controllando attentamente l'andamento degli eventi, pronto ad intervenire nel caso che al fisiologico si sostituisca la patologia. II medico come "testimone" e non come "protagonista" come dice Leboyer.
II medico ostetrico è formato al tecnicismo e all'interventismo. Si sente pili sicuro quando impiega la tecnica ed interviene, in quanto del suo operare conosce le conseguenze e sa cosa aspettarsi. E sa inoltre come comportarsi nel caso che la sua prima azione porti ad una situazione prevista che richieda una sua ulteriore partecipazione. Quello che tuttavia sappiamo bene è che ogni intromissione sui processi naturali comporta l'inizio di una serie di interventi che si succedono a catena. Stimolare l'utero a contrarsi con l'ossitocina crea una serie di sequenze che l'ostetrico sa benissimo che possono concludersi con un parto operativo vaginale o eventualmente con un T.C.
In un modello biosociale della nascita, il medico impara a rispettare i tempi naturali, ad osservare attentamente, a controllare le proprie ansie. Deve in altri termini modificare il proprio comportamento frenando la "smania" di intervenire e di fare.
II parto è sempre stato il momento del "potere" del medico ostetrico. E quanto più egli interviene tanto maggiore e il suo potere di medico sulla donna, sul bambino, sui parenti e sul personale che lo circonda. II "potere" porta al "protagonismo". Quanto più si sostituisce nel fare alla donna tanto più toglie alla donna, all'uomo, al bambino.
Solo quando la gratificazione del medico non è più nel "potere" si può fare un'ostetricia che rispetti la donna e che non la consideri un involucro che contiene un bambino, quando cioè la gratificazione gli deriva dall'aver osservato senza intervenire, dall'aver protetto con la sua presenza un evento fisiologico.
La gratificazione dell'ostetricia "attiva" ed "operante" del medico deve venire soltanto al momento della patologia. II rispetto per la donna si ritrova anche imparando ad avere un rapporto personalizzato e a non considerarla un caso clinico.
II medico ha imparato a parlare come se la persona a cui si rivolge non fosse presente e ad evitare il contatto personale. Egli è stato educato a crearsi una barriera protettiva nei confronti del paziente.
L'istituzione ospedale con le sue procedure ed i suoi cerimoniali riesce a far diventare la donna che va a partorire una "paziente" e ne regolamenta rigidamente il comportamento. II ruolo di paziente favorisce la regressione, la "riduzione del se", crea ansia e passività, la donna delega alla medicina il suo parto, in un momento in cui è necessario che sia attiva e partecipe e in grado di controllare la situazione.
Presenza del padre in sala parto: è un diritto della donna quello di avere sempre accanto a sé durante il travaglio e durante il parto, anche in caso di parto vaginale operativo, una persona da lei scelta. Questo introduce la
possibilità di "parto di coppia" per la presenza del padre del bambino nella stanza dove la donna partorisce.
Chi assiste il parto deve imparare a non aver paura di questo "testimone" particolare. Il loro lavoro deve essere chiaro e comprensibile e quindi non ci deve essere nulla da nascondere.
Ma è ormai certa l'utilità della presenza del partner per la donna ed indirettamente anche per i medici, in quanto capace di influenzare positivamente il travaglio e il parto. È dimostrato che i padri non aggiungono infezioni in sala parto. Dall'esperienza sappiamo che i padri in sala travaglio e in sala parto entrano spontaneamente, non richiesti, nella quasi totalità dei casi e non solo non svengono, ma partecipano attivamente ed attentamente. E' necessario il loro coinvolgimento da parte del personale fin dall'inizio del travaglio ed allora la loro presenza diventa attiva, passeggiano con Ie donne in travaglio, controllano la durata delle contrazioni e il loro intervallo, accarezzano e massaggiano, si interessano all'andamento della dilatazione, si incuriosiscono alla testa che si intravede nel canale del parto, aiutano a non perdere il controllo, esortano durante la spinta, gioiscono e piangono con la donna nel momento in cui il bambino nasce.
Solo nel caso che venga spinto improvvisamente in sala parto, magari munito di camice, cappello e maschera, senza aver seguito attivamente i tempi e i modi del travaglio, il padre diventa d'impiccio al personale, incapace di esprimersi alla donna e rischia di svenire.
C’è la convinzione che la partecipazione reale dell'uomo all'evento nascita possa favorire in lui l'acquisizione della sua nuova identità di padre, creando i presupposti per un rapporto padre-figlio non autoritario, e rafforzando contemporaneamente la sua identità sessuale all'interno della coppia.